DON GALLO-MAZZETTI-Copertina 2010

Aliberti Editore (2010)

Mi rigiro il libro fra le mani: dimensioni consuete; scuro, con uno sfondo tendente al nero; copertina rigida sempre rigorosamente nera (come l’abito talare) con una sovra copertina nella quale campeggia il volto di Don Gallo mentre fuma l’immancabile sigaro.
Avrà cambiato idea? -penso fra me e me-. Eppure sembrava proprio sicuro, convinto, più dello stesso scrittore che aveva lanciato l’idea, del fatto che era necessario cambiare editore. E in parte amareggiato perché si era sentito sostanzialmente lasciato solo nel prendere questa decisione.
Poi guardo meglio e vedo che l’editore è Aliberti, non Mondadori. Mi sembrava strano! Quando Don Gallo dice una cosa, di quella si può star certi. E’ altrettanto certo quanto il primato della coscienza personale, richiamato più volte in passato e lungo tutto il testo, ed a cui tiene moltissimo.
Conosco Don Gallo da molti anni, e fra incontri ‘sul campo’, lettura dei suoi testi, ascolto delle sue conferenze e pensieri rielaborati per recensire i suoi lavori, avevo la presunzione di conoscere molta parte della sua vita e del suo pensiero.
Invece già dalla quarta di copertina mi accorgo che in quest’ultimo libro c’è qualcosa di diverso. “Peccato che Don sia un prete, se fosse un politico, avremmo trovato il nostro leader”; è una delle frasi più avvincenti di Loris Mazzetti, coautore ed intervistatore ‘delicato’ del Don.
Il libro sembra essere attraversato da una forte devozione di un laico ad una figura di uomo che è anche un ‘prete da marciapiede’, degno di essere associato alla sola madre Teresa di Calcutta, e da una accorata auto-disamina dei fondamenti politici, sociali, etici e religiosi da parte di questo stesso ‘uomo di chiesa e non solo’ che cerca in ogni modo possibile ed immaginabile di essere accanto agli ultimi, quasi perdendosi fra di loro. Tra i due una intesa sotterranea che evita la sommatoria di episodi, seppure interessanti, riproponendo un originale filo conduttore che potremmo definire fortemente etico.
Si intuisce una dinamica parzialmente associativa in diversi passaggi, dinamica che dà vigore alla narrazione senza proporre cesure e stacchi repentini da un tema all’altro.
Si percepisce anche il lavoro di un accurato biografo (Mazzetti) con uno straordinario autobiografo (Don Gallo), che sul palco si racconta da sé, anche per due ore, occupando interamente la scena, senza bisogno di supporto alcuno; mentre nel raccontarsi per iscritto privilegia la condivisione dei pensieri.
Ritroviamo in tal modo, in quest’ultimo contributo, ‘così in terra, come in cielo’, un uomo di Dio (e non solo), ‘angelicamente anarchico’, che è ‘venuto per servire’. Così che nessun bambino in futuro possa dire, piangendo: “mi hanno rubato il prete!”. Ma tutti possano cantare, con Stefano Bruzzone e gli Altera, “Ho ritrovato il prete che parlava dell’amore. (…) son contento monsignore”. (G.M.)