Rivista Italiana di Educazione Familiare n. 2/2013 – Firenze University Press

La pubblicazione, pensata in precedenza sotto la direzione dell’amico e collega Enzo Catarsi, che ci ha lasciato troppo presto nell’estate del 2013, è inserita in un numero interamente dedicato al ruolo dei nonni in ambito familiare, ed è stata materialmente pubblicata alla fine del 2014.

L’articolo sottolinea l’importanza crescente del ruolo dei nonni nell’odierna società, le opportune distinzioni fra ruolo genitoriale nei confronti dei figli e ruolo dei nonni nei confronti dei nipoti, ed infine le specificità delle figure dei ‘nonni adottivi‘. 

Rivista Educazione Familiare

 

QUANDO NASCE UN BAMBINO… NASCONO ANCHE QUATTRO NONNI                                                                                                  

                                                                                               di Giorgio Macario[1]

 

Una premessa immersa nell’attualità.

 

Da figli legittimi, illegittimi, naturali, adottivi a figli senza alcuna distinzione aggiuntiva.

Con l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri di un apposito provvedimento in data 12 luglio 2013, ad integrazione delle variazioni già introdotte dalla legge delega n.219 del 2012, si consolida, almeno sulla carta, l’abolizione di qualsiasi distinzione di status fra i figli comunque giunti nel nucleo familiare. La frase ‘fare figli e figliastri’ rimarrà naturalmente fra i modi di dire ad indicare una disparità indebita introdotta laddove non dovrebbero sussistere differenze di sorta. Anche se sappiamo, quindi, che in passato l’essere ‘figlio’, o al contrario ‘figliastro’, ha fatto certamente una bella differenza, con il tempo questa distinzione dovrebbe perdere il suo ancoraggio semantico principale.

Allo stesso modo dovrebbe gradatamente perdere di significato la distinzione fra ‘nipoti’ e ‘nipotastri’, meno diffusa ma egualmente fondata nella legislazione del passato.

Ma se relativamente agli aspetti strutturali l’importanza dell’acquisizione degli assi ereditari non solo dei genitori ma anche dei nonni, degli zii e di quant’altri è indiscutibile, ben più importante appare la rivoluzione culturale che traghetta l’ordinamento italiano dalla ‘patria potestà’ (ereditata dalla familia romana)  alla ‘potestà genitoriale’ (con la Riforma del Diritto di Famiglia del 1975), fino all’attuale introduzione della ‘responsabilità genitoriale’. La responsabilità dei genitori fotografa, con ampio ritardo, quanto è ormai acquisito dal comune sentire, e cioè che i due genitori, in egual misura, sono responsabili e tenuti a contribuire alla migliore crescita del loro figlio. Non esercitano quindi un ‘potere’ sul figlio ma si impegnano a condividere un percorso di crescita che deve essere in sintonia con il ‘superiore interesse del minore’, così come ormai ampiamente indicato dalle principali convenzioni internazionali.

Se ciò riguarda in prima istanza i genitori, è indubbio che le figure più prossime ad essere coinvolte in questo cambiamento epocale, sono i genitori dei genitori, e cioè i nonni.

 

Aspetti funzionali, aspetti strutturali, aspetti affettivi: alla ricerca di un mix equilibrato.

 

Diventare nonni è una sorta di benedizione del cielo, perché vuol dire che si sono potuti generare dei figli e che questi a loro volta hanno potuto adempiere al loro ciclo vitale connesso alla riproduzione della specie.

E’ la continuità della specie, infatti, ad essere in gioco e sono i genitori che sono chiamati in primo luogo ad assicurarla.

I genitori, non i nonni, che l’hanno già fatto a suo tempo.

Quindi da questo punto di vista i nonni sono figure accessorie e complementari.

Se fossimo in una competizione calcistica sarebbero delle riserve e non dei titolari.

Ciononostante sono figure importanti.

Fanno parte della squadra e la sostengono per tenerne alto il morale e rinforzare il senso di appartenenza; partecipano agli allenamenti per essere comunque pronti; subentrano ai titolari –cosa più importante- non solo in caso di grave incidente se devono prenderne il posto, ma anche se c’è bisogno di un supporto temporaneo, per stanchezza o altro. D’altra parte è noto che anche la ‘panchina’ fa parte della squadra.

L’essere titolari e l’essere riserva vanno ribaditi perché si capisca bene qual è la responsabilità primaria di chi mette al mondo un figlio, e cioè l’occuparsene in maniera soddisfacente.

D’altra parte sappiamo che il ruolo degli anziani nella società attuale non è più quello di essere depositari dei saperi, spesso neanche di quelli funzionali all’utilizzo delle cose.

La velocità dell’innovazione in tutti i campi spiazza infatti un po’ tutti, non solo i nonni ma anche gli stessi genitori: sono i più giovani ad essere maggiormente flessibili, in grado di comprendere come tutto muta e generalmente pronti ad adattarsi.

Gli anziani delle tribù indiane, il consiglio degli anziani di molte comunità, gli stessi padri –ma anagraficamente ormai bisognerebbe dire i nonni- della Patria sono ormai figure quasi inesistenti o un po’ retoriche.

Dal punto di vista funzionale lo stesso può accadere nelle famiglie dove, a vari livelli, la logica del capitale sembra aver preso il sopravvento: se produci e ‘vali’ qualcosa, sei una figura forte e rispettata; altrimenti diventi periferico e poco importante.

Ciò risulta piuttosto evidente nelle dinastie familiari dei proprietari d’azienda.

Finché il capostipite, che di solito è anche nonno, tiene salde le redini dell’impero imprenditoriale e finanziario, è amato ma anche temuto e rispettato; quando lascia, passa un po’ nell’oblio.

A ben pensarci è anche giusto, perché in qualche modo favorisce l’alternanza ed il passaggio di testimone con le generazioni future, ma ciò accade sempre meno di frequente.

Non è un caso che la gerontocrazia che governa attualmente in tutti i settori, dalla res publica all’Università, rappresenti proprio il contrario del passaggio di testimone e diffonda la penosa immagine di vecchi (anche nonni) aggrappati ai loro ruoli e incapaci di prefigurare prospettive future che non siano la loro autopromozione che si ripete all’infinito.

Ma i nonni custodiscono comunque la memoria storica della famiglia e non è infrequente che siano i nipoti, piuttosto che i figli, ad entrare in sintonia con le generazioni più anziane: d’altra parte è evidente come la maggiore vicinanza anagrafica e la piena responsabilità genitoriale rendano più complessa la reciproca comprensione, mentre il ‘salto’ di una generazione può agevolare una comunicazione diretta fra nonno e nipote-bambino, così come può aprire varchi insperati nei muri eretti dagli adolescenti e dai giovani-adulti.

Per ritornare a come il ruolo dei nonni viene vissuto nella attuale società occidentale

occorre indagarne ulteriormente la dimensione economica e strutturale.

Ci sono situazioni in cui la capacità economica dei nonni tende ad essere maggiore di quella dei figli e ormai molto maggiore –in prospettiva – di quella dei nipoti.

E’ pur vero che nel segmento non secondario ma comunque contenuto che si riferisce ai redditi medio-alti la capacità di spesa è frequentemente rivolta al proprio benessere personale: i nonni infatti viaggiano spesso  e rappresentano un target tenuto in grande considerazione dagli esperti di marketing proprio per le disponibilità finanziarie non trascurabili.

Ma queste maggiori capacità intervengono anche, e indubbiamente, a supporto delle problematiche economiche che possono affliggere figli e nipoti.

Nel segmento che invece è maggioritario, fra i redditi (non troppo) bassi e quelli medi, accade comunque qualcosa di simile perché i nonni sono di solito titolari di pensioni ed hanno accumulato, come si suol dire, i risparmi di una vita, con l’abitazione dove risiedono in genere di proprietà.

Hanno cioè un reddito fisso che in un mondo di crescente precariato e di necessità di garanzie per essere ‘affidabili’, li trasforma in risorse appetibili.

In diversi casi, fra l’altro, nonostante la necessità di essere curati ed accuditi, la sommatoria di una pensione anche contenuta e di un assegno di accompagnamento per invalidità, costituisce la risorsa base che permette a molte famiglie di ‘tirare avanti’.

Questo, in estrema sintesi, è quanto concerne le dimensioni economiche e strutturali, che sono determinanti.

Ma esiste anche un valore d’uso -più struttural/funzionale potremmo dire- dei nonni che è rappresentato dalle loro residue capacità di cura, lavoro e assistenza verso i nipoti a supporto dei propri figli.

E’ come se, in molti casi, per tirare avanti una famiglia con uno o due bambini fossero necessari due genitori ma anche quattro nonni, tutti concentrati su questo compito prioritario.

Potremmo anche dire che per consentire la cura degli interessi sia personali che professionali dei due genitori, i quattro nonni –se ci sono- devono subentrare anche ‘pesantemente’ nell’occuparsi dei nipoti.

Generalmente, quanto più i nonni sono affrancati da impegni lavorativi, tanto maggiore diventa il loro coinvolgimento.

Coinvolgimento che, naturalmente, tende ad alterare l’equilibrio ‘titolare/riserva’ del binomio genitori/nonni innescando aspettative esagerate e irrigidimenti connessi a sottovalutazioni/sopravalutazioni dei rispettivi ruoli.

A questo punto, una volta delineata per sommi capi una fotografia della realtà strutturale ed in parte funzionale, è possibile sottolineare la centralità compiutamente funzionale ed anche affettiva dell’apporto dei nonni nella crescita dei nipoti.

In genere più comprensivi, anche perché non coinvolti in prima persona, svolgono un ruolo affettivo fondamentale.

Sono una sorta di ‘sponda’ con funzioni differenziate a seconda dell’età dei nipoti.

Nei primissimi anni prevalgono le funzioni di babysitteraggio, rivolte molto più ad alleviare i genitori da una vicinanza eccessiva che esaurisca risorse ed energie. Anche se dal punto di vista affettivo consentono al bambino di avere altri adulti di riferimento solidi ed affidabili, adulti che riscoprono a loro volta l’esistenza di una tenerezza sepolta per decenni sotto cumuli di responsabilità sociali imprescindibili.

Sono sempre i nonni, per parte loro, a riscoprire una vitalità residua che credevano esaurita a suo tempo con lo svolgimento delle funzioni genitoriali dirette.

La maggiore tolleranza, la comprensione tendenzialmente empatica e l’attenzione sensibile agli accadimenti che riguardano i nipoti ne fanno un punto di riferimento privilegiato; sono quindi i bambini che ne sono privati ad essere affettivamente ed emotivamente impoveriti.

Fra l’altro il ruolo dei nonni, alla stregua del ruolo genitoriale, non può venire meno.

I fratelli e le sorelle possono anche non esserci mai stati o scomparire; ma, come ci ricorda Grazia Fresco Honeggher [2]: “… quando nasce un bambino, nasce una coppia di genitori. (Ma) Nascono anche quattro nonni.”

Negli anni della scuola dell’obbligo, per i nonni tendono ad essere prevalenti le funzioni di service: accompagnamenti scolastici, sportivi o legati al tempo libero, frequenze assicurate a corsi vari, permanenze diurne e anche notturne, a seconda di esigenze ed impegni diversi.

Il livello di vicinanza affettiva diventa molto meno apparente e più sostanziale. La maggiore pazienza nel leggere ed eventualmente ascoltare le mille vicissitudini ed accadimenti della vita del nipote, oltre ai tempi non così accelerati, possono essere vissuti dal bambino/ragazzo/giovane come una genuina disponibilità che non pretende confidenze e ‘risultati’ immediati.

Un possibile riscontro adulto vicino ma non così prossimo può essere utile ai ragazzi per anticipare eventuali giudizi dei genitori e saggiare la dimensione realistica e la concreta fattibilità dei loro intendimenti.

D’altra parte, il nipote come sensore e aggiornamento costante su ciò che accade nel mondo che cambia può essere utile ai nonni per non sentirsi tagliati fuori da ciò che accade nella società pulsante.

Negli anni dell’adolescenza la potenziale contrapposizione al mondo adulto da parte dei ragazzi cresciuti riguarda in primis i genitori, risparmiando, tendenzialmente, i nonni.

Questi come si è già accennato, proprio perché in parte ‘fuori dai giochi’, possono essere più tolleranti e dispensare –anche se non è detto sia consentito loro così facilmente- qualche consiglio su come è meglio muoversi; intermediare con gli stessi genitori per favorire riappacificazioni o simili; allungare qualche banconota -senza eccedere- per far sperimentare un inizio di autonomia economica, specie in occasioni e frangenti particolari.

Un ruolo quello dei nonni, quindi, niente affatto trascurabile, che ha una sua valenza specifica anche nelle situazioni di genitorialità ‘sociale’ – ad indicare tutte le relazioni di parentela non biologica-, fra queste la genitorialità adottiva cui si faranno alcuni accenni nell’ultimo paragrafo.

Alla costante ricerca di un equilibrio che sappia coniugare i fattori strutturali, funzionali ed affettivi al benessere del/dei nipoti che già ci sono e che magari sopraggiungono, ‘di qui e d’altrove’, considerando le crescenti complessità familiari ed interculturali della società contemporanea.

Le situazioni estreme (nonni assenti, che badano ai fatti loro sostanzialmente ignorando l’esistenza dei nipoti e spesso dei figli già cresciuti; e nonni super sfruttati nell’accudimento-sostegno-cura dei nipoti e quindi dei figli, che rischiano di confondere la loro funzione con quella genitoriale diretta) tendono a squilibrare la crescita sia dei nipoti, che degli stessi nonni. In tutti gli altri casi la presenza discreta di queste ‘sponde’ naturali del percorso di crescita è quanto di più significativo si possa individuare nel mantenere un minimo di funzione allargata della famiglia.

Starsene separati e da soli non fa altro, infatti, che favorire l’egoismo e l’autoreferenzialità sia negli uni –i nipoti- che negli altri –i nonni-.

 

E se il bambino arriva ‘d’altrove’? I nonni adottivi.

 

L’individuazione da parte di alcuni professionisti affermati di tre concetti essenziali dell’intervento educativo tradotti in gesti universali, che ho avuto modo di ascoltare durante una conferenza internazionale circa una decina di anni fa[3], può rappresentare una chiave di lettura significativa anche per quanto riguarda la sottolineatura dell’importanza dei nonni adottivi nel percorso di inserimento del bambino adottato nel Paese di accoglienza.[4]
L’accoglienza esemplificata dal gesto dell’abbraccio, la cura riassunta nel gesto del cullare, e la promozione dell’autonomia rappresentata dal gesto dell’allontanare da sé sintetizzano tutto ciò che di buono può essere garantito da una famiglia sufficientemente buona e costituiscono ad un tempo la base dell’intervento educativo professionale.[5]

Se questi concetti hanno rafforzato il progressivo processo di valorizzazione del sapere genitoriale che da ormai 13 anni si sta portando avanti nell’ambito della formazione nazionale per gli operatori delle adozioni internazionali realizzata dall’Istituto degli Innocenti per conto della Commissione per le Adozioni Internazionali[6], questo percorso ha riguardato molto meno la famiglia allargata ed in particolare i nonni.

Certo è prassi comune che ci sia una richiesta di consenso esplicito dei nonni all’adozione ma in genere la stragrande maggioranza degli interventi specialmente nelle fasi della preparazione all’adozione e dell’attesa prima che arrivi l’abbinamento con il bambino, è rivolta agli aspiranti genitori adottivi, che d’altra parte sono i principali protagonisti del percorso adottivo.

E’ indubbio invece che il ruolo dei nonni (e per estensione dell’intero contesto parentale allargato) sia determinante per favorire un clima di accoglienza adeguato. Sono i nonni infatti, più che i genitori, a rappresentare un presidio della cultura della famiglia in senso lato, e d’altronde i bambini che saranno adottati provengono da culture estremamente diverse, e di queste hanno spesso conosciuto gli aspetti più aspri e problematici.

Per i nonni non essere protagonisti della scelta adottiva ma doversi adeguare a quella maturata dai propri figli può anche deteriorare quell’equilibrio ‘titolare/riserva’ già citato in precedenza; proprio per questo negli ultimi anni si è fatta strada nei professionisti del settore la consapevolezza dell’importanza del coinvolgimento consistente dei nonni in particolare nei percorsi dell’attesa. E’ evidente infatti che questa sensibilizzazione potrà sia agevolare il supporto dei futuri nonni adottivi ai propri figli, sia la paziente presenza sussidiaria con il bambino adottato nelle fasi del primo inserimento e del post-adozione.

Un accenno ad alcuni materiali di documentazione disponibili[7] può essere indicativo delle potenzialità di tali interventi. I riferimenti più significativi vanno dalle prime reazioni (dalla sorpresa/curiosità/desiderio di saperne di più per un evento inaspettato alla gioia/sollievo per chi esprime vicinanza, dalla preoccupazione/perplessità per scarsa o nulla conoscenza del fenomeno dell’adozione al senso di responsabilità per la scelta importante e alle domande sulla propria adeguatezza di chi si domanda se sarà all’altezza) all’immaginario sul bambino (il bambino “poverino”, portatore di sofferenza –con i relativi rischi di compatimento; il bambino “estraneo”, portatore di diversità –che sottolineano la condizione del bambino di estraneo e straniero; il bambino “uguale” agli altri – con i rischi correlati di semplificazione; il bambino che “ti accetta/ti rifiuta” – che esprime consapevolezza dei vissuti di ambiguità che il bambino potrà esprimere al suo arrivo). Seguono le indicazioni sulle paure e gli interrogativi emersi (Saremo troppo anziani quando arriverà? Avrà una storia troppo dolorosa? Sarà discriminato? E la famiglia di origine?) e quindi sul come poter sostenere al meglio i genitori nella loro scelta (siamo con voi a prepararci, non saremo ‘pressanti’, vi sosterremo anche nel far si che non perdiate di vista il vostro benessere, oltre a quello del bambino). [8]

Una specificità quella adottiva che comporta quindi anche per i nonni, e non solo per i genitori aspiranti all’adozione, un percorso di elaborazione, attesa e riflessione sicuramente più impegnativo del normale percorso che porta dall’essere coppia all’essere famiglia nel senso più pieno del termine.

D’altra parte l’intreccio fra la crescente presenza di figli unici nei nuovi nuclei familiari e il fatto che  l’85% di chi adotta non abbia figli biologici e provenga spesso da estenuanti tentativi di procreazione medica assistita, consente anche ad un gran numero di nonni di diventare effettivamente tali.

Ciascuno per sé potrà quindi valutare quanto questa esperienza possa essere stata effettivamente una benedizione del cielo o meno.

Sicuramente a questi futuri nonni è concesso di poter prendere parte attivamente alla realizzazione di un incontro che ha pochi eguali nella storia di una vita fra un potente desiderio di genitorialità e un pressante bisogno di accudimento. Trasformare questa scommessa nella conquista di una normale quotidianità sta anche a loro. Come riserve certamente, ma come riserve che a volte determinano il positivo esito dell’intera partita.

 

 

Riferimenti bibliografici

 

Commissione per le Adozioni Internazionali – Macario G. (a cura di) (2010):  La qualità dell’attesa

   nell’adozione internazionale, Vol. n. 10, Firenze:  Istituto degli Innocenti

Fresco Honegger G. (1995): essere nonni. Che cosa vuol dire essere genitori di genitori, Como: Red edizioni.

Macario G. (2008): L’arte di formarsi, Milano: Edizioni Unicopli.

Paradiso L. (2010): ESSERE NONNI ADOTTIVI. L’adozione raccontata ai nonni, adozione percorsi.it.

Poli N., Zandonai M. (2011): VOGLIA DI…NONNI. Essere nonni adottivi, Trento: Comune di Trento

(documento dattiloscritto)

[1] Formatore e psicosociologo. Docente di Educazione degli adulti all’Università di Genova e consulente dell’Istituto degli Innocenti di Firenze.  Email:macario.g@gmail.com

[2] Fresco Honegger G. (1995): essere nonni. Che cosa vuol dire essere genitori di genitori, Como: Red edizioni.

[3] Il diritto di crescere in famiglia – Legislazioni europee a confronto viste dalla parte dei bambini, Convegno Internazionale, Genova 20-21 maggio 2004.

[4] Il riferimento esplicito alle adozioni internazionali, che vedono appunto il bambino adottato giungere da un altro Paese, non esclude la validità di queste note anche nel caso delle adozioni nazionali, ma sottolinea il fatto che il rapporto fra i due fenomeni negli ultimi anni è stato all’incirca di tre a uno. Senza contare che molte adozioni nazionali riguardano ormai con una certa frequenza bambini abbandonati da madri di origine straniera.

[5] L’intervento di Fulvio Scaparro al Convegno Internazionale citava un lavoro comune realizzato con Marcello Bernardi. Cit. in Macario G. (2008): L’arte di formarsi, Milano: Edizioni Unicopli.

[6] E’ possibile consultare gratuitamente la documentazione dell’intero percorso formativo nei volumi della Collana Studi e Ricerche (n. 1/2003, 4/2005, 7/2008, 10/2010, 15/2011, 17/2012, 18/2012, 20/2013), curati dall’autore dell’articolo in qualità di responsabile scientifico e formativo. Il materiale è scaricabile all’indirizzo:

http://www.commissioneadozioni.it/it/bibliografia/studi-e-ricerche.aspx

[7] Cfr.  Ebranati L.: Il percorso dell’attesa nella famiglia allargata, in Commissione per le Adozioni Internazionali – Macario G. (a cura di) (2010):  La qualità dell’attesa nell’adozione internazionale, Vol. n. 10, Firenze:  Istituto degli Innocenti e Poli N., Zandonai M. (2011): VOGLIA DI…NONNI. Essere nonni adottivi, Trento: Comune di Trento (documento dattiloscritto). Cfr. inoltre  Paradiso L. (2010): ESSERE NONNI ADOTTIVI. L’adozione raccontata ai nonni, adozione percorsi.it.

[8] Tratti in particolare da E. Ebranati, op. cit., dell’A.A. Associazione Amici Trentini, con riferimento ad uno specifico corso per futuri nonni e zii adottivi.