Copertina Proietti-2014

Rizzoli – Milano 2013

“Un’autobiografia? Io? Tutt’al più quattro chiacchiere sul passato, sperando che a qualcuno interessi. Riordinare l’album dei ricordi è un lavoraccio infame.” E più oltre: “No, un’autobiografia proprio no.”

Questo l’incipit che Gigi Proietti ha scelto per il prologo della sua storia di vita.

Chissà come avrà reagito quando gli hanno comunicato che la sua ‘autobiografia non autobiografica’ ha vinto il Premio Città dell’Autobiografia 2014!

Certo si capisce subito, già dalla conclusione del prologo, che ‘la classe non è acqua’, e l’ironia, il garbo, e la simpatia universalmente riconosciute al personaggio pubblico si respirano per tutto il testo; la cui stesura non deve essere stata proprio una passeggiata, se è vero che “Raccontarsi…è difficilissimo. Richiede una buona dose di onestà e un grande sforzo di memoria”; ed anche se “so già che trascurerò molti dettagli, alcuni per riserbo, altri perché li ho persi per strada”, “…le cose davvero importanti non le ho mai dimenticate. Tutto sommato, qualcosa mi ricordo.”

Papà Romano cameriere-portinaio-tuttofare e mamma Giovanna casalinga proveniente da una famiglia di pastori (“Potrei dire di pecorari, ma pastore suona più nobile, sa di Arcadia.”), la sorella maggiore Annamaria e il nonno materno Antonio, pastore e poeta, aprono la descrizione dell’universo familiare dove Gigi Proietti viene alla luce il 2 novembre (“ahimè”, dice lui) del 1940.

Da questo momento in avanti, è tutto un susseguirsi di ricordi che legano la sua figura al palcoscenico: a due anni recita in pubblico nella chiesetta del paese “una poesiola sul bambinello”; a sei anni nell’immediato dopo guerra, sgomberati da una casa pericolante con tutti i mobili ed i vestiti per strada, ha per la prima volta l’impressione di cosa possa essere una scenografia teatrale; pochi anni più tardi, da chierichetto come tanti altri figli della sinistra, nel maldestro tentativo di spegnere un inizio di incendio provocato da un candelabro sull’altare, rimediò il suo primo grande successo comico tentando di soffiare e sparando invece una specie di pernacchia in direzione del Tabernacolo.

Ma è al Liceo Augusto che con la fondazione del primo complesso musicale, i Viscounts,ed il successivo debutto con un vero e proprio ingaggio al Gran Caffè Professionisti per un Veglione di Capodanno, che Luigi Proietti (“cantante dalla voce ritmico-melodica-moderna”, recitava la locandina che l’autore ancora conserva come più antico reperto della propria carriera) iniziò ad esibirsi in tutti i night di Roma. Ed ancora, iscritto a giurisprudenza, saràl’adesione al Centro Universitario Teatrale, fatta per curiosità più che per un vero e proprio interesse, a rappresentare una vera e propria svolta.

Scorrono via, così, le prime 80 pagine.

Le successive 160 rappresentano una continua scoperta di episodi, riflessioni, racconti ed incontri che accompagnano un successo crescente che per brevità condenserei in tre passaggi artistici cruciali: la sostituzione di Domenico Modugno nello spettacolo “Alleluja, brava gente”; la produzione ed il continuo perfezionamento dello spettacolo “A me gli occhi, please” ed infine le cinque stagioni della serie “Il maresciallo Rocca”.

A scorrere le centinaia di situazioni da lui vissute e citate si capisce perché gli amici lo chiamino “Gigi Progetti”. E proprio uno di questi progetti, proiettato nel futuro, credo possa far comprendere quanto l’essere un po’ restio ad usare il termine ‘autobiografia’ sia profondamente connesso ad una sensibilità biografica ed una particolare attenzione alla qualità della vita degli altri. Dice Proietti: “Vorrei fare ancora tanti spettacoli. Ne ho in mente uno intitolato ‘Cartoni animati’, incentrato sui barboni, le persone che vivono per strada, perché dentro a quegli involti, quei cartonacci, c’è gente che dorme e che, forse, ancora sogna, ci sono dentro la poesia e il dramma della vita.” Una scrittura di sé di ‘normale straordinarietà’ che merita ampiamente il premio che ha ricevuto. (GM)