Copertina Chinnici

Storia di mio padre Rocco, giudice ucciso dalla mafia. Mondadori – Milano 2013

Solo una figlia poteva parlare con un tale garbo del proprio padre.

Solo un magistrato poteva descrivere in modo così limpido i tratti di elevata competenza e di profonda umanità di un altro magistrato, suo mentore.

Solo una donna coraggiosa poteva condensare una tale eredità in un volume al contempo pesante come un macigno e leggero come una piuma.

“E’ così lieve il tuo bacio sulla fronte” prende avvio dalla  rievocazione delle tenere abitudini di un padre premuroso e attento nonostante i gravosi impegni quotidiani di magistrato (un bacio sulla fronte –anche da sposata-, il caffè al mattino per tutti quanti) e la dolorosa rievocazione di quel 29 luglio 1983 alle ore 8.05 del mattino, quando il giudice Rocco Chinnici viene barbaramente ucciso insieme a due uomini della scorta e al portiere del palazzo dall’esplosione di un’auto imbottita di tritolo. “Un momento qualsiasi di trent’anni fa –dice Chinnici- è diventato quello in cui il dolore si è annidato dentro di me. Nel tempo ha cambiato forma (…ma) non se ne è mai più andato.”

La prima autobomba al tritolo, come è stato appurato con sentenza definitiva vent’anni dopo nel 2003, ha segnato un salto di qualità nella strategia della mafia ed ha inchiodato alle loro responsabilità come mandanti cognomi ormai noti e famigerati.

Ma il grande pregio di questa ‘biografia autobiografica’ realizzata a trent’anni dall’omicidio di Rocco Chinnici, risiede nell’equilibrato intreccio fra una rigorosa ricostruzione storica dell’impressionante escalation di attentati ed omicidi mafiosi in terra di Sicilia e la profonda umanità della vita di un uomo che era solito dire di se stesso: “Io ho due passioni, la mia famiglia e il mio lavoro.”

Gli apporti biografici sono evidenti e percorrono tutto il volume ricostruendo sia gli episodi apicali della vita di Rocco Chinnici che, in particolare, il suo percorso entro la magistratura (“Mio padre non ‘faceva’ il giudice, era giudice.”), da pretore a Partanna nel trapanese a capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo. Ma al contempo il filo conduttore del racconto di vita è marcatamente autobiografico ed è la stessa autrice, Caterina Chinnici, ad emergere nella sua infanzia felice (“Siamo stati a lungo una famiglia normale, persino noiosa. Normale e semplice.”); nel percorso di avvicinamento alla magistratura (“Le mie compagne di classe volevano diventare ballerina o maestra, io scelsi di fare il giudice quando ero ancora nella culla.”); nel dramma dell’attentato (“…ci sentivamo disperatamente soli, ciascuno alle prese con il proprio vuoto.”) e nella vita dei trent’anni successivi tratteggiati con leggerezza sia negli aspetti di gioia familiare e di soddisfazioni professionali che nelle indubbie gravosità (“Ero e sono sorvegliata 24 ore al giorno.”).

La rigorosa ricostruzione storica della progressione di omicidi mafiosi fra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’90, consente di non isolare l’uccisione di Rocco Chinnici come accadimento a sé stante, delineando un continuum che  culmina con le successive stragi del 1992 che vedranno cadere i suoi allievi, colleghi e amici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Portare la propria figlia in carcere con un’altra coetanea perchè potessero giocare insieme con la piccola figlia di una detenuta, fare attenzione a qualsiasi accorgimento utile ad alleviare la pena ai detenuti, portare anche a loro parte dei dolci caratteristici che giungevano a decine come segno di rispetto nelle festività natalizie e pasquali, sono solo alcuni degli episodi citati dall’autrice per far luce sulla personalità di Chinnici-giudice. Che, in poche parole, “metteva la persona al centro”.

Ma è l’affetto e la sensibilità di Chinnici-padre e marito che segna ed attraversa il trentennio di vita familiare di Rocco e Agata con Caterina, Elvira e Giovanni. Dall’affiancarsi loro nei momenti di difficoltà, fino alla commozione per la figlia laureata in giurisprudenza o all’apprensione dei tre giorni di scritti per il concorso in magistratura di Caterina trascorsi interamente fuori dal Palazzo dei Congressi a Roma in trepidante attesa.

Certo con il crescendo di tutele, minacce, scorte, rinunce e ‘blindatura’ di molti aspetti della vita quotidiana. Con il sacrificio estremo di un uomo dedito alle Istituzioni ed alla salvaguardia del bene comune.

Caterina Chinnici lo racconta per “…farlo vivere ancora una volta, il mio papà.”, e non possiamo far altro che ringraziarla per questa narrazione condivisa che va oltre un trentennale scudo di riservatezza.

Auspicando, anche per la storia di Rocco Chinnici, quanto ci dice Tim Burton:

“A furia di raccontare le sue storie, un uomo diventa quelle storie. Esse continuano a vivere dopo di lui e in questo modo egli diventa immortale.” (G.M.)

 

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